Consumo di suolo: Italia sempre più “affogata” nel cemento secondo ISPRA
Ad oltre due anni da quando ho affrontato, uno dei flagelli maggiori per l’Italia, legato al consumo di suolo, nel quale già usciva forte il dato davvero allarmante di 8 m2 al secondo di suolo persi nel nostro paese, che ha visto anche recentemente grandi associazioni ambientaliste come WWF, formulare delle proposte operative alle forze politiche, ritorno sul tema dopo l’uscita del nuovo Rapporto ISPRA sul consumo di suolo nel nostro paese, proprio in questo 2015 denominato “Anno Internazionale del suolo”.
Aggiornamenti non certo incoraggianti quelli tracciati dal nuovo rapporto, che evidenzia ben un quinto della fascia costiera italiana persa definitivamente. Si tratta di oltre 500 km quadrati, l’equivalente del perimetro della Sardegna vittima del consumo di suolo. L’ impermeabilizzazione della costa ha interessato il 19,4% del terreno compreso tra 0 e 300 metri di distanza dalla costa e quasi il 16% di quello compreso tra i 300-1000 metri.
Non si sono salvate dal flagello italiano, nemmeno le aree protette, che hanno perso 34.000 ettari al loro interno di aree protette. Il bilancio delle perdite si estende poi al 9% delle zone a pericolosità idraulica ed il 5% delle rive di fiumi e delle sponde dei laghi. In questo durissimo bilancio vanno aggiunte anche le cosiddette zone non consumabili, come montagne, aree a pendenza elevata, zone umide, cementificate per ben il 2%.
Un rapporto dell’orrore (vedi link per scaricarlo in calce al post), quello di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), presentato in questi giorni proprio nella Milano dell’EXPO, diffuso unitamente ad una cartografia ad altissima risoluzione, che indica ancora una volta l’inadeguatezza per non dire l’assenza di politiche veramente di lungo respiro, relativamente al governo del territorio capace di disciplinare veramente l’uso del suolo che non accenna ad arrestarsi nonostante la crisi economica.
Una considerazione a margine volevo farla proprio a quell’inno alla sostenibilità di EXPO, almeno sugli intenti, con la cementificazione di un area verde (“greenfield”) ai margini di una città come Milano, che dispone di un buon numero di cosiddetti “brownfields”, vale a dire estensioni con siti industriali inurbati dismessi e che attendono da anni una loro riconversione, alcuni di questi a valle di una bonifica. A mio parere una doppia occasione persa per ridare nuova vita ad aree già antropizzate in degrado da un lato, andando invece ad occupare suolo “vergine” dall’altro: indubbiamente un insulto alla filosofia di base di EXPO.

La devastante “Beton-civiltà”, pur registrando una lieve flessione nei ritmi, passando da 8 m2/secondo a 6-7 m2/secondo è riuscita a cementificare e quindi impermeabilizzare, secondo le stime del rapporto, ben il 7% del suolo, facendo registrare una crescita del 158% in più rispetto agli anni ’50, con un impatto indiretto ben più vasto, dal momento che oltre la metà del territorio italiano, infatti, è intaccato e impoverito dalla cementificazione.

A fare maggiormente le spese del “Mostro grigio”, sono state principalmente le aree agricole coltivate (60%), quelle urbane (22%) e le terre naturali vegetali e non (19%). Le periferie e le aree a bassa densità stanno vivendo il fenomeno nella suaforma peggiore: le città si espandono senza pianificazione, dando luogo al cosiddetto “sprawl urbano”, cioè la dispersione urbana, termine che indica una rapida e disordinata crescita di una città verso la sua periferia, che fa crescere in maniera esponenziale il rischio idrogeologico. Una politica nazionale che in questi anni a consentito anche la copertura dei terreni più produttivi al mondo, come per esempio quelli della Pianura Padana, dove il consumo di suolo è salito al 12%, con impatti certamente non soltanto ambientali, ma anche drammaticamente sociali dal momento che in un solo anno, oltre 100 mila persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani.
Passando invece all’analisi della classifica delle regioni più cementificate, sul primo gradino del podio si confermano Lombardia e Veneto con un dato intorno al 10%. La Liguria risultainvece leader negativa nella speciale classifica per la copertura di territorio entro i 300 metri dalla costa (40%), la percentuale di suolo consumato entro i 150 metri dai corpi idrici e quella delle aree a pericolosità idraulica.
Per quanto riguarda invece le zone a rischio idraulico, guida la classifca l’Emilia Romagna, con oltre 100 mila ettari di superficie. Scendendo al livello provinciale poi, Monza e Brianza si colloca ai vertici delle province più cementificate, raggiungendo il 35%, mentre i comuni in provincia di Napoli, Caserta, Milano e Torino oltrepassano il 50%, con punte anche del 60%. Il record assoluto di consumo di suolo, raggiungendo l’incredibile dato dell’85% di suolo sigillato, va al piccolo comune di Casavatore, nel napoletano.
Ogni anno si rischia di apparire ripetitivi analizzando il Rapporto ISPRA sul consumo di suolo, ma emerge anche quest’anno il quadro sconsolante di un Paese che continua a dilapidare ingenti potenziali economici ed ecologici, soffocando l’ambiente e mettendo a rischio la sicurezza e la salute dei i cittadini, in uno scempio davvero senza fine.
Un contesto nel quale anche il disegno di legge presentato oltre un anno fa si è disperso nelle fitte nebbie delle Commissioni Ambiente e Agricoltura, oramai non menzionato più da nessuno (vedi post “Consumo del suolo: Ermete Realacci deposita la nuova proposta di legge”). E’ proprio questa lunga latenza governativa che proprio in questi giorni ha spinto Legambiente, FAI e WWF ad inviare una lettera ai deputati, per uscire dal letargo su di un tema così scottante e di grande emergenza cercando di accelerare l’approvazione del DDL.
Un tema davvero devastante per il nostro paese, cronicamente alle prese con la mancanza di un progetto di prospettiva a lungo termine che rende le amministrazioni comunali schiave delle rendite da oneri di urbanizzazione anche per la cronicizzazione della loro mancanza di fondi. Si tratta davvero di un punto di non ritorno nell’ambito del quale, ogni cittadino si dovrebbe fare carico di questo immane insulto al nostro Bel Paese, denunciando attivamente e intervenendo attraverso una vigilanza attiva che non permetta di infliggere ulteriori ferite alla nostra terra.
Sauro Secci