Comunità Energetiche: opportunità e ostacoli burocratici
Comunità energetiche. Pubblichiamo un estratto dell’articolo “Le Comunità delle Rinnovabili, un opportunità a rischio per paure e troppa burocrazia” di Stefano Ciafani e Francesco Ferrante, rispettivamente Presidente di Legambiente e Vicepresidente Kyoto Club, uscito sull’edizione cartacea del Corriere della Sera di martedì 3 settembre 2024.
Quando a fine 2019, con un emendamento al decreto Milleproroghe, furono introdotte in Italia – in via sperimentale – le comunità energetiche rinnovabili (CER) previste da una direttiva europea approvata solo l’anno prima, salutammo la novità con grande entusiasmo. Le comunità energetiche, già diffuse in alcuni paesi europei, a partire dalla Germania, possono infatti assolvere a diversi compiti, a partire dalla diffusione territoriale delle rinnovabili, indispensabili nel processo di decarbonizzazione che deve accelerare, se vogliamo affrontare seriamente la crisi climatica e modernizzare il sistema energetico.
Le CER da sole non sono sufficienti (circa 5 GW di nuovi impianti da rinnovabili con questo strumento, a fronte degli 80 GW che servirebbero per centrare gli obiettivi europei al 2030) e quindi servono anche tanti impianti utility scale, di taglia industriale. Ma le CER possono essere utilissime nell’avvicinare i cittadini alle rinnovabili, far superare qualche pregiudizio e sconfiggere la sindrome Nimby («non nel mio giardino»), che colpisce anche gli impianti a fonti rinnovabili.
Le CER poi possono aiutare nella lotta alla povertà energetica: mettere in comune l’energia prodotta da cittadini, Enti del Terzo settore, piccole e medie imprese, che diventano prosumers, grazie agli incentivi previsti, può consentire di affrontare casi di povertà energetica presenti in quel territorio. Infine, in molte aree – quali quelle dei piccoli comuni – i benefici connessi alle CER possono aiutare a sconfiggere lo spopolamento.
Con quella sperimentazione sono nate decine di comunità energetiche, ma era necessario, affinché potessero dare un contributo rilevante, togliere limiti di potenza e di connessione previsti in quel primo provvedimento. E qui sono iniziati i guai che ci spingono a questo grido di allarme e a rivolgere un appello al ministro Pichetto Frattin.
Non solo abbiamo dovuto aspettare tre anni per arrivare al decreto attuativo del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) per consentire di realizzare CER fino a un 1 MW di potenza, collegandosi alle cabine primarie della rete. Ma nonostante il prezioso e competente tutoraggio svolto dal Gestore dei servizi energetici (Gse), sono troppi gli ostacoli burocratici alla realizzazione delle CER. Insomma, la possibilità che il nostro Paese manchi l’obiettivo di 5 GW di rinnovabili da CER che lo stesso Mase si è dato e – forse ancor più paradossale – non riesca a spendere i 2,2 miliardi di euro che nel Pnrr ha destinato ai piccoli comuni per la realizzazione di CER diventa sempre più reale.
A noi pare evidente che la ristrettezza dei tempi per concretizzare il difficile percorso di realizzazione delle CER implicherebbe una necessaria semplificazione dell’iter autorizzativo. Se non si velocizza l’autorizzazione, la CER non può nemmeno «accedere» alla piattaforma del Gse, e il rischio concreto è che di CER – soprattutto per i comuni sotto i 5.000 abitanti, che devono concludere le pratiche entro il 31 marzo 2025, come prevede il Pnrr -, se ne faranno poche.
Infatti, anche se il quadro normativo sembrerebbe completo e il regime di tariffe incentivanti e contributi definito, non sono chiare le regole per l’accumulo e la definizione dei profili fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate, rendendo quindi arduo capire se un determinato profilo di CER regge o meno dal punto di vista finanziario.
Siamo ancora in tempo per salvare questa bella innovazione dalle secche della burocrazia? Sta al Mase rispondere.
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