Come Unire Giustizia Ambientale e Giustizia Sociale?

L’innovazione non sempre è ecologica. La vicenda dell’exGKN ne è un esempio evidente, con gli ambientalisti che hanno scarso dialogo con i lavoratori

“Mondi lontani”, un articolo di Sergio Ferraris, giornalista scientifico e caporedattore “L’Ecofuturo Magazine”

È certo che il futuro, soprattutto quello climatico, non sia solo una questione tecnologica e di mercato. Le “resistenze” sociali alla transizione ecologica lo dimostrano. Questa transizione è solo una versione leggera delle trasformazioni necessarie, dato che l’urgenza climatica è ormai pressante e richiede una vera conversione ecologica. Un’opzione per convincere l’opinione pubblica verso una maggiore sostenibilità è la questione dell’occupazione. Tuttavia, la retorica dei green jobs, diffusa da oltre un decennio, ha basi fragili, come dimostrano le dinamiche recenti del mercato del lavoro. Parlando con industriali e dirigenti, emerge la convinzione che sostenibilità e decarbonizzazione siano strade obbligate.

Tuttavia, è evidente che il lavoro green, specialmente in settori come la chimica, storicamente a bassa intensità di lavoro, continuerà ad essere caratterizzato da questa stessa bassa intensità. Considerando che l’automazione con l’intelligenza artificiale rischia di eliminare oltre 800 milioni di posti di lavoro entro il 2040, secondo McKinsey, è evidente che l’appeal del “lavoro” è ai minimi storici per molti, soprattutto nelle regioni settentrionali del Pianeta. Un esempio è la Sardegna, dove l’opposizione all’eolico off shore a più di 20 km dalla costa potrebbe significare la perdita di 10 mila posti di lavoro temporanei per dieci anni e 5 mila permanenti. Allo stesso modo, gli enti locali si oppongono sistematicamente a qualsiasi forma di energia rinnovabile che superi il tetto domestico, come evidenziato nel Decreto Aree Idonee.

Una via per coniugare la lotta ai cambiamenti climatici con la lotta alla disoccupazione potrebbe essere quella seguita dagli operai della ex GKN di Campi Bisenzio (Firenze). Questi lavoratori non si sono arresi dopo essere stati licenziati improvvisamente nella notte del 9 luglio 2021 tramite un messaggio di posta elettronica certificata, senza preavviso né spiegazioni. Vale la pena di soffermarsi sulla storia recente di GKN: fino a dicembre 2021, l’azienda faceva parte della multinazionale GKN, una delle poche specializzate nella meccanica e nell’automotive ancora presenti in Gran Bretagna. Nel 2018, però, la multinazionale è stata acquisita dal fondo speculativo Melrose in una delle acquisizioni più ostili descritte dalla stampa inglese dopo l’assalto di Kraft a Cadbury nel 2009.

Il fondo Melrose, noto per la sua strategia di monetizzazione e vendita di imprese produttive, anche in questa occasione ha confermato la sua reputazione. Un anno dopo l’acquisizione, Melrose ha iniziato la dismissione di alcuni stabilimenti del gruppo, vendendo la tedesca Walterscheid Powertrain Group a un fondo di private equity statunitense, operazione motivata dalla necessità di ripianare i debiti pregressi, aumentati con l’acquisizione di GKN per 9,44 miliardi di euro. Anche in questo caso Melrose ha adottato la sua tipica strategia di “Buy-Improve-Sell”: acquistare, migliorare e vendere.

Questo processo ha portato allo smembramento e alla vendita delle divisioni più redditizie dell’azienda, messe sul mercato per ottenere i migliori prezzi. La cessione della Walterscheid Powertrain Group è stata solo una delle strategie per ristrutturare e liquidare attività al fine di recuperare capitale e ridurre il debito accumulato dall’acquisizione di GKN. E così, anziché aggiungersi agli 87 tavoli di crisi aziendali che dominavano il Ministero dello Sviluppo Economico per oltre 100 mila lavoratori, gli operai della exGKN hanno deciso di pensarsi, mi si perdoni li gioco di parole, come soggetto collettivo attivo sulla transizione ecologica.

Uno sforzo non indifferente, considerando che la logica dei licenziamenti repentini di massa tende a frammentare le comunità in individui isolati e più interessante perché exGKN operava nel settore dell’automotive tradizionale e fossile, considerato dalla politica più come un settore da preservare che da innovare, pena un “bagno di sangue” evocato negli ultimi anni dalla politica quando si parla di auto elettrica in particolare e di mobilità sostenibile.

Non si tratta di un’idea nostalgica del collettivismo del secolo scorso, ma di prospettive sviluppate da un gruppo di ricerca che include economisti del Sant’Anna di Pisa. Il loro obiettivo è realizzare un “piano multilivello per la stabilità occupazionale e la reindustrializzazione del sito di Campi Bisenzio”. Questo piano segue le linee guida dello sviluppo sostenibile delineate da organizzazioni internazionali come IPCC e IEA. Il progetto si allinea all’asse Green del PNRR, concentrandosi sulla mobilità sostenibile e sulla produzione di energia pulita. Questa prospettiva sinergica integra sviluppo economico e sociale, promuovendo l’innovazione tecnologica, l’alta formazione e la tutela del territorio e delle comunità. Di seguito i punti chiave emersi dalla ricerca rappresentano un patrimonio comune condiviso anche da altre esperienze simili nel mondo.

Conoscenza del Processo Produttivo. Il know-how specifico dei lavoratori nei processi di recupero è cruciale per garantire continuità produttiva. Come nel caso ex- exGKN, dove il collettivo di fabbrica ha dimostrato che la produzione potrebbe ripartire in qualsiasi momento con la volontà degli operai.

Capitale di Funzionamento. È essenziale per acquistare materie prime e avviare il ciclo produttivo, rappresentando il punto critico delle imprese recuperate.

Solidarietà. La solidarietà tra lavoratori e la comunità circostante è fondamentale, poiché supporta le fabbriche in lotta, creando un processo aperto e collettivo di recupero delle imprese.

Collaborazione con l’Università. La sinergia tra fabbrica e mondo universitario è cruciale, rinnovando una relazione vitale che è stata fondamentale anche per le imprese recuperate all’estero.

Le strade aperte

La exGKN, gestita con il coinvolgimento di operai e ricercatori del Sant’Anna, prospetta due direzioni future.

La “riconversione incrementale” nel settore della mobilità, puntando su semiassi e sistemi di trasmissione di potenza per automobili, autobus e treni. Questa strategia mira a mantenere una produzione consolidata e ad affrontare le sfide nel settore automobilistico, con l’obiettivo di espandersi nell’elettrificazione e stabilizzare l’attività attraverso il mercato dei veicoli per il trasporto pubblico. L’integrazione con tecnologie avanzate favorisce la posizione dell’azienda nella mobilità pubblica sostenibile, promuovendo la sostenibilità economica a lungo termine grazie alla sinergia tra operai e ricercatori universitari.

La seconda prospettiva è quella della trasformazione radicale, che prevede il passaggio dell’attività produttiva della exGKN a un nuovo settore industriale dedicato alla generazione e conservazione di energia “pulita”. Questa strategia si basa sugli investimenti del PNRR per la riconversione energetica, in linea con la strategia europea sull’idrogeno che mira a raggiungere almeno il 13-14% del consumo energetico entro il 2050 (attualmente al 2% nella UE). Oltre all’idrogeno, include la produzione di componenti per impianti fotovoltaici progettati per massimizzare l’efficienza energetica e adattarsi a vari utilizzi previsti nel PNRR, come l’agrivoltaico e l’integrazione con sistemi di produzione di idrogeno. Questi componenti saranno dotati di tecnologie avanzate, come pannelli bifacciali per ottimizzare la resa energetica in diverse condizioni ambientali, con un’installazione flessibile per ridurre costi e tempi. La crescita della produzione è prevista per portare a una progressiva riduzione dei costi di fabbricazione.

Innovazione Vs ecologia

La questione più interessante di tutta la vicenda exGKN la identificano Lorenzo Feltrin e Emanuele Leonardi. Hanno scritto che la fase storica attuale è il fallimento della transizione ecologica dall’alto «nella quale si è abbandonato il concetto che protezione ambientale e crescita economica si escludono a vicenda, ma nella quale la green economy propriamente intesa è in grado di internalizzare il vincolo ecologico non più come ‘blocco’ dello sviluppo capitalistico, bensì come ‘fondamento’ di un nuovo ciclo di accumulazione».

Sostengono che una transizione ecologica guidata dall’alto può conciliare la protezione ambientale con la crescita economica solo se il movimento operaio viene relegato ai margini. Movimento storicamente impegnato nella lotta contro le disuguaglianze, rischia di essere visto come un ostacolo al cambiamento, in nome della tutela dell’occupazione. Il protagonista della green economy è l’imprenditore di se stesso: audace, illuminato, smart. La sua carica innovativa deriva dall’ignorare le pastoie dei corpi intermedi, in particolare i sindacati, e dalla lentezza della mediazione istituzionale e democratica. I due ricercatori tracciano un quadro impietoso sull’innovazione e sull’ecologia… CONTINUA A LEGGERE GRATIS L’ARTICOLO SU L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

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