Cinema & Ambiente: “The Animal Kingdom”

The Animal Kingdom (Le Règne animal), Francia – 2023. Regia di Thomas Cailley. Con Paul Kircher, Romain Duris, Adèle Exarchopoulos. Il film ha ricevuto 12 candidature ai Premi César 2024 aggiudicandosene 5. È stato presentato nella sezione “Un certain regard” a Cannes 2023. Ha ricevuto il Premio Lumière 2024 per la miglior regia.

La recensione di Stefano Visani, presidente L’Age d’Or

«Che cosa si prova ad essere un pipistrello?». Si domandava il filosofo americano Thomas Nagel in un celebre articolo, nel quale intendeva dimostrare che non possiamo conoscere sul serio i fenomeni mentali che avvengono nelle altre menti. Che effetto farà trasformarsi in un animale, uno qualunque?

Potrebbe essere la domanda che si sono posti gli sceneggiatori di “The Animal Kingdom” (uscito il 13 giugno con ampia presenza nelle sale) che racconta di un presente alternativo in cui, non si sa per quale ragione visto che il film esordisce in medias res, molti umani iniziano una progressiva transizione verso il regno animale, trasformandosi gradualmente in bizzarre ibridazioni di umani/animali. Il giovane Émile (interpretato da un bravissimo Paul Kircher), la cui madre è già trasformata in un grosso tardigrado peloso e per questo rinchiusa in un centro da cui però fugge nella prima parte del film, sta a sua volta trasformandosi in una sorta di incrocio tra un uomo e un lupo.

Il processo di metamorfosi non è però come quello dei lupi mannari cinematografici, è lento, doloroso e irregolare. Cercare di nasconderlo agli occhi del resto del mondo (oltre a ritrovare la madre fuggita) sarà una delle preoccupazioni principali del giovane protagonista e di suo padre.

Diversamente dall’equivoco in cui sono caduti alcuni recensori, non si tratta di fantascienza, visto che non si capisce nulla del problema. E men che meno come risolverlo razionalmente. Ci troviamo invece in quel terreno scivoloso in cui il fantastico viene usato come apologo. A volte gli apologhi riescono assai bene, a volte invece, come in questo caso, nel corso del cammino sembrano caricarsi di zavorra per cui un’idea in sé interessante, sostenuta da ottimi professionisti a tutti i livelli (regia, colonna sonora, attori, effetti speciali) diventa una metafora ipertrofica in cui sta il rapporto genitori-figli, quello con il diverso, l’opposizione natura-cultura, la pandemia, i temi adolescenziali. Questa ansia metaforizzante tende a banalizzare le tematiche più originali del film, come quella della nostra capacità di gestire un rapporto dignitoso con il mondo animale.

Alla fine, ognuno rimane separato nel proprio universo, almeno così come concettualmente definito dall’uomo occidentale. Natura da una parte, Cultura dall’altra, sprofondati nella consueta contraddizione della wilderness perduta, la vita selvaggia a cui ogni tanto sembriamo anelare per salvarci dalle difficili condizioni che noi stessi abbiamo creato…

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Redazione

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