Bloccate le rinnovabili, si pensa ora alle trivelle


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Il Governo sta mettendo sotto assedio un settore che dimostra invece con i numeri di essere un protagonista del comparto energetico e dell’economia più dinamica. Uno strabismo che viene ancor più evidenziato dal programma del Ministro Passera di favorire l’estrazione degli idrocarburi nazionali.


Non ci facciamo troppe illusioni. Questo Governo sull’energia ragiona con i numeri, ma solo con i suoi. Dice di ascoltare gli operatori, ma le soluzioni le ha già in tasca prima di iniziare ogni dialogo. Sulla partita delle rinnovabili è come se ci stia dicendo, per usare un paradosso, ‘siete liberi di andare in America, ma non potete farlo attraversando l’Oceano Atlantico’.

I paletti messi nei due decreti sulle rinnovabili elettriche e sul fotovoltaico sono gabbie che non permetteranno che spazi limitati per le imprese del settore. Ipocritamente, tabelle comparate ministeriali ci suggeriscono che le tariffe previste sono ancora sopra la media europea, ma non ci dicono che per arrivare a ottenerle l’impresa è epocale e, di fatto, per molti sarà impossibile; vedi registri e burocrazia annessa.

Manca una visione sull’innovazione in campo energetico e soprattutto per un vero sviluppo dell’energia distribuita e rinnovabile, anche oltre gli incentivi. Quello che anima il Governo Monti, come abbiamo scritto su questo portale, è la volontà di mettere sotto amministrazione controllata un settore, spesso beneficiario, certo, di elevati incentivi (grazie anche a una cattiva politica incapace di analisi corrette e di medio periodo), ma che ha anche ribaltato in pochissimi anni uno scenario energetico che rimette in discussione tutte le antiche certezze.

Bastano alcuni dati. A marzo 2012 la richiesta di energia elettrica (27,4 TWh, in calo del 5,2% rispetto al marzo 2011) è stata coperta dal fotovoltaico per il 6,4% (1,77 TWh), percentuale che supera il 10% se contiamo anche l’eolico. Il contributo del FV è stato 3,2 volte maggiore rispetto al marzo 2011 e superiore di quasi il 30% rispetto al luglio 2011, fino ad allora mese record per la produzione FV (vedi bilancio mensile Terna).

Lo scorso Lunedì di Pasqua (9 aprile 2012) è poi da ricordare. Sebbene sia stato ovviamente un giorno con una modesta domanda di energia elettrica, va comunque evidenziata una nota di Terna SpA: tra le ore 13 e le 14 il 64% dell’elettricità prodotta in Italia è arrivata dalle rinnovabili. E nello stesso momento in Sicilia le fonti rinnovabili hanno fornito il 94% dell’energia richiesta (in Sicilia la media giornaliera, sera e notte comprese, è stata del 60%). Nell’isola, dunque, il prezzo dell’elettricità, in quell’ora, è stato quasi pari a zero. Terna ha spiegato che per ogni punto percentuale in più di elettricità da rinnovabili il suo prezzo diminuisce di 2 €/MWh.

Chi vuole può arrivare alle sue conclusioni. È stato dato un dito a questi ‘anarchici’ delle fonti pulite e ora si sono presi tutto il braccio.

Di fronte a questi dati non stupiscono quei documenti che sono stati segnalati da alcuni soggetti responsabili di impianti FV ed eolici alla nostra redazione per informarci di comunicazioni da Enel Distribuzione che hanno per oggetto la possibile riduzione della generazione distribuita per motivi di sicurezza nei periodi di basso carico (nei casi specifici per impianti fotovoltaici in Puglia, Basilicata e Toscana) e proprio per i giorni delle festività pasquali. In uno vi si legge: “in caso di emergenza Terna potrà quindi chiedere a Enel Distribuzione di provvedere all’apertura dell’interruttore di linea MT cui è connesso il suo impianto di produzione per un periodo di tempo stabilito”. Pare che anche gli impianti di Enel Green Power abbiamo subito questa disposizione.

Di fronte a un settore delle rinnovabili in notevole crescita, il Governo si comporta da ragioniere, ma non mette nei suoi calcoli il rischio di mettere in ginocchio centinaia di imprese (alcune hanno già chiuso i battenti) e di scoraggiare investitori nazionali ed esteri che forse scapperanno per sempre dall’Italia.

Non sappiamo ora quanti e quali margini di manovra avranno le Regioni per chiedere modifiche ai decreti. Intanto queste ci  fanno sapere che sono particolarmente colpite da un’inspiegabile rigidità dei Ministeri dimostrata nel primo incontro di presentazione dei decreti.

Il fatto è che le rinnovabili hanno corso tanto e in tempi troppo rapidi. Questo è il punto: danno fastidio ai grandi produttori di energia e a Confindustria (almeno a una parte di essa). Una volta bloccate, anche se la speranza di qualche rivisitazione dei due sconfortanti decreti c’è ancora, lo strabismo del Governo in campo energetico guarderà a quello che forse più gli preme, cioè favorire l’estrazione di idrocarburi, gas e metano, nazionali, allargando le maglie delle autorizzazioni a trivellare qua e là il Paese.

Il Ministro Corrado Passera, nella sua audizione alla commissione Industria del Senato, lo ha descritto come un obiettivo della sua Strategia energetica nazionale. “Non tutti sanno che l’Italia ha ingenti riserve di gas e petrolio e che una parte importante di queste riserve è attivabile in tempi rapidi consentendo di soddisfare potenzialmente circa il 20% dei consumi dal 10% attuale”, ha detto il ministro. E ha spiegato che intende “muoversi decisamente in questa direzione che potrebbe consentire di attivare 15 miliardi di euro di investimenti, con 25mila posti di lavoro stabili e addizionali”. Il suo obiettivo è ridurre la bolletta energetica di importazione di oltre 6 miliardi l’anno aumentando quindi il Pil di quasi mezzo punto percentuale e ricavare 2,5 miliardi di entrate fiscali sia nazionali che locali. Ci fornisce un’analisi completa stavolta, fatta sicuramente anche con i dati forniti da Eni, mentre sappiamo che omette sistematicamente di considerare i benefici legati allo sviluppo delle rinnovabili. Forse troppo parcellizzati e complessi da mettere insieme?

Sull’uscita di Passera replica Legambiente, precisando che “le riserve stimate di 187 milioni di tonnellate, agli attuali tassi di consumo, verrebbero consumate in soli due anni e mezzo, mentre i 25mila posti di lavoro ipotizzati dal ministro con l’estrazione di idrocarburi, corrispondono alla metà delle persone impiegate nel settore delle fonti pulite che perderebbero il posto grazie ai suoi decreti, mentre con una seria prospettiva basata sullo sviluppo delle rinnovabili, i nuovi occupati potrebbero arrivare a 250mila unità, cioè 10 volte i numeri propagandati dal ministro legati allo sviluppo degli idrocarburi nostrani”.

Non parliamo poi dei miseri benefici locali reali che deriverebbero da questa politica, spesso sbandierati dai suoi promotori. Nel 2010 le royalties sulla produzione italiana di idrocarburi hanno contribuito alla finanza pubblica nazionale complessivamente con soli 202 milioni di euro, dei quali 146,7 indirizzati agli enti pubblici.

Insomma siamo ancora all’effetto sgocciolamento, il trickle down effect, come dicono gli economisti. Pochi che ci guadagnano e qualche briciola che arriva a tutti gli altri, che peraltro dovranno sopportare, in questo caso, anche le esternalità ambientali.

FONTE :  Qualenergia.it

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