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Agricoltura: pratiche di cooperazione e condivisione
Agricoltura: Condividere per coltivare. Un articolo di Ivan Manzo.
In tutte le pratiche agricole, le carte vincenti sono la cooperazione e la condivisione
La condivisione tra comunità in agricoltura è un fenomeno in crescita che risponde a sfide economiche, ambientali e sociali attraverso la cooperazione e il supporto reciproco. Un modello sempre più utilizzato è quello della CSA, l’Agricoltura Sostenuta dalla Comunità che porta i cittadini a finanziare direttamente le aziende agricole locali, spesso tramite abbonamenti stagionali, in cambio di una quota di prodotti freschi. È un’attività che non solo garantisce un mercato sicuro per gli agricoltori ma rafforza anche i legami comunitari, promuovendo le pratiche di sostenibilità. Continuano a diffondersi le cooperative agricole dove gli agricoltori condividono risorse come attrezzature, infrastrutture e manodopera e i giardini comunitari: spazi urbani dove i membri della comunità coltivano insieme ortaggi e fiori.
Da segnalare anche le banche dei semi, iniziativa che ha come scopo di preservare la biodiversità e che porta gli agricoltori a conservare e condividere semi autoctoni e tradizionali staccandosi così dal potere che le grandi multinazionali esercitano sul tema e i progetti di agroecologia partecipativa in cui le comunità con l’agroforestazione e l’agricoltura rigenerativa lavorano per migliorare la fertilità del suolo, conservare l’acqua e difendere la genetica delle colture locali.
Quando si parla di comunità e condivisione, non si può non fare riferimento alle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), particolarmente rilevanti per le aree rurali dove l’uso di energia sostenibile può ridurre i costi e aumentare l’autosufficienza. Abbiamo diversi esempi sparsi per l’Europa, uno è in Germania dove nella regione “Schleswig-Holstein” sono presenti numerose comunità fatte da agricoltori che utilizzano l’energia eolica e solare per portare avanti le loro attività e, al contempo, vendono l’energia in eccesso e contribuiscono alla stabilità della rete elettrica locale.
Altro interessante esempio è quello che ci arriva dal comune danese dell’isola di Samsø. Annoverato tra le buone pratiche presenti sul sito dell’UNFCCC – sito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici -, grazie a questo progetto che “guarda la futuro” l’isola ha già portato le proprie emissioni di gas serra vicine allo zero attraverso l’installazione di «11 turbine eoliche on-shore e 10 off-shore, 4 impianti di teleriscaldamento locali alimentati da biomassa e la diffusione dei pannelli solari». Per eliminare completamente le emissioni di carbonio entro il 2030, la comunità insulare estenderà l’uso dell’elettricità rinnovabile nei settori del riscaldamento e dei trasporti stradali e sostituirà i combustibili fossili nel trasporto marittimo con biogas o elettricità generata localmente.
Ma anche in Italia non mancano le iniziative. Tra queste ricordiamo la CER Gesuiti che si è costituita lo scorso maggio nella provincia di Taranto, nata dall’azienda agricola Mario Calvi e dalla società cooperativa IAS Energy. Scopo del progetto, in cui sono coinvolti organismi di ricerca del Politecnico di Torino, è accompagnare la transizione elettrica e lo sviluppo locale, sostenibile e innovativo, attraverso la produzione di energia pulita in modo da ridurre la povertà energetica, aumentare l’efficienza dei consumi tradizionali e introdurre nuovi modelli produttivi capaci di coniugare tecnologia avanzata e la vocazione vitivinicola della zona.
Agrivoltaico e benefici
Grazie alle rinnovabili i territori hanno l’opportunità di sfruttare i vantaggi derivanti dall’uso di nuovi modelli energetici, sempre più integrati al contesto rurale e agricolo. Del tema abbiamo parlato con Rolando Roberto, Vicepresidente di Italia Solare, che ha descritto anche le potenzialità che ruotano intorno all’agrivoltaico.
«La condivisione di buone pratiche è un’ottima opportunità per i territori, sia sul piano ambientale sia su quello economico e sociale. Tra gli obiettivi delle comunità energetiche – ha detto Roberto – c’è anche quello di costruire una cultura tra i cittadini basata sull’efficienza e l’autoconsumo. È in questo contesto che si inserisce il filone dell’agrivoltaico, anche se alcune delle associazioni agricole non lo vedono oggi come una vera opportunità. Come Italia Solare invece riteniamo si tratti di un’ottima occasione per permettere agli agricoltori di percepire anche un reddito energetico, più stabile e prevedibile del reddito agricolo, soprattutto considerando gli impatti che la crisi climatica può avere sulle colture».
«Chiaramente l’agrivoltaico non è la soluzione a tutto e non tutti i terreni sono adatti. Dando precedenza alle installazioni sui tetti, bisognerebbe per esempio valutare la possibilità del fotovoltaico a terra – quello tradizionale – nei terreni poco produttivi o vicini a poli industriali, e l’agrivoltaico nei terreni dove si integra bene e tende a valorizzare le colture del luogo». Parlando della qualità dell’informazione sul tema, Roberto infine ha aggiunto che lo sviluppo dell’agrivoltaico «è in questo momento sfavorito da una serie di strumentalizzazioni mediatiche che alimentano un sentimento di contrasto sui territori».
Il biogas che riscalda l’ospedale
C’è il sistema del biogas integrato in agricoltura che crea un modello di sostenibilità capace di ridurre l’impatto delle aziende e di creare valore aggiunto per la comunità locale. «Tra le rinnovabili il biogas è quello maggiormente legato al territorio, dato che sfrutta gli scarti agricoli, come letame e liquame, e le risorse presenti sul territorio creando nuovi servizi ambientali. Pensiamo al servizio di stoccaggio del carbonio, ma anche alla capacità di questa filiera agricola di produrre sostanza organica per rigenerare il terreno» – ha dichiarato Guido Bezzi, responsabile del settore agronomia del CIB (Consorzio Italiano Biogas)… Continua a leggere gratis l’articolo su L’ECOFUTURO MAGAZINE
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